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![]() Tweet SCRITTURA, STRUMENTI DI Attrezzi con i quali la scrittura è stata fissata sul supporto fisico di volta in volta prescelto, quale che fosse il motivo e l'oggetto della comunicazione scritta. STILO, PENNELLO E PENNA. Le più antiche forme di scrittura, sviluppatesi nella "mezzaluna fertile" del medio Oriente, avevano come supporto l'argilla fresca su cui lo scriba tracciava i segni con uno stilo di legno o di canna per incidere la materia plastica. Per molti secoli gli strumenti furono naturali. Gli egizi usavano, per scrivere sui papiri, lo stelo della stessa pianta che, intinto nell'inchiostro, si sfilacciava a formare un pennello. I greci e i romani adottarono stili metallici per incidere le tavolette cerate o steli di graminacee per vergare con gli inchiostri vegetali i papiri e le pergamene. Fu Isidoro di Siviglia a parlare per primo, nel VII secolo, di penne di uccello utilizzate nella scrittura su pergamena. Per la particolare consistenza e durata nel Medioevo si affermarono le penne d'oca, che divennero il più diffuso strumento di scrittura fino all'Ottocento anche se avevano l'inconveniente di dover essere sovente temperate per ripristinarne l'efficienza. All'inizio dell'Ottocento apparvero in commercio penne d'oca tagliate in tre o più parti già temperate da fissare a particolari canne di metallo, anticipando così i modelli successivi di penna. Si era già pensato a pennini metallici in acciaio, ma la rigidezza ne sconsigliava l'uso. Il brevetto del 1830 dell'inglese J. Perry per apportare opportuni tagli e forature nei pennini d'acciaio esaltandone l'elasticità provocò la graduale scomparsa delle penne d'oca. I pennini d'acciaio montati su canne di legno o d'avorio lasciavano però cadere macchie d'inchiostro nel trasferimento dal calamaio al foglio. La soluzione poteva essere rappresentata da uno stilo, cavo all'interno, da riempire di inchiostro, cui si era cominciato a pensare sin dai primi anni del XVII secolo, quando si era tentato senza successo di riempire d'inchiostro la cavità di una penna d'oca. Il brevetto dell'inglese F.B. Foelsch, depositato nel 1809, per una penna a serbatoio, cannuccia e capsula con pennino aprì la strada alla progettazione e produzione delle penne stilografiche. Tra le altre tappe furono importanti il brevetto perfezionato e definitivo della stilografica depositato nel 1819 dall'inglese J. Sheffer e l'utilizzo, dal 1824, dei pennini d'oro con punta di rodio. Il successo delle stilografiche fu immediato: la facilità di riempimento del serbatoio dell'inchiostro e la fluidità e velocità di scrittura valsero ai nuovi strumenti di scrittura un universale riconoscimento, trattenuto solo dall'alto costo. La diffusione della plastica come materia prima a basso costo nella fabbricazione delle penne fu la ragione della grande popolarità delle stilografiche all'indomani della prima guerra mondiale. Dopo la seconda guerra mondiale comparve ed ebbe rapida diffusione la prima penna "a perdere" e cioè la penna a sfera, più comunemente nota come biro (dall'inventore, l'ungherese L. Biró); essa consiste in una cannuccia di plastica contenente un inchiostro semisolido che viene trasferito sul foglio tramite una piccola sfera rotante collocata all'estremità della cannuccia. Ma nel frattempo era apparsa la macchina per scrivere. LA MACCHINA E IL COMPUTER. Il primo progetto di strumento per una scrittura ordinata e sempre leggibile nacque nel XVII secolo per offrire anche ai ciechi un'opportunità di scrittura. La prima tappa nota del percorso di sperimentazione e progettazione di macchine dattilografiche risale al 1713 quando l'inglese H. Mill depositò un brevetto mai effettivamente realizzato. Furono però inventori italiani a dare il maggiore contributo alla realizzazione di un prototipo. Preceduto dalla macchina a caratteri tipografici di Turri (1808) e dal tachigrafo di P. Conti di Cilavegna (1823), il notaio novarese G. Ravizza modellò uno strumento meccanico modernamente concepito. Nel suo cembalo scrivano, ideato intorno al 1837 ma brevettato nel 1856, si trovano tutte le caratteristiche delle moderne macchine dattilografiche: leve sospese in cerchio e battenti dal basso verso l'alto in un unico punto centrale di impressione, e movimento del carrello portacarta a ogni battuta di tasto. A questo primo modello vennero applicate migliorie e accorgimenti per garantire una maggior velocità (obiettivo primario dei progettisti) e sicurezza di scrittura. Le tappe più importanti furono la nascita nel 1874 della fabbrica Remington di Milwaukee negli Usa per volontà del giornalista e inventore C.L. Shales, di J. Glidden e di S.W. Soulé, e quella della Underwood del 1898. Presso quest'ultima società la macchina da scrivere ebbe il suo aspetto definitivo risolvendo il maggiore problema delle macchine fino ad allora prodotte: quello della visibilità della scrittura. Fino alla Underwood, infatti, l'operatore non poteva vedere il risultato del proprio lavoro mentre questo procedeva, scoprendo poi gli errori solo a battitura ultimata. La prima macchina da scrivere italiana nacque nel 1911 da un progetto di C. Olivetti (1868-1933) che fondò a Ivrea l'azienda omonima. Sull'onda del successo dell'Olivetti nacquero altre aziende italiane: la Hesperia, la Victoria e l'Invicta, travolte però dalla crisi economica dei primi anni Trenta. La ricerca di sempre maggiori velocità in dattilografia fece applicare alle macchine da scrivere il motore elettrico fin dal 1900; nella Selectric dell'Ibm (1960) l'insieme dei martelletti venne sostituito da una sfera rotante, combinando velocità del motore elettrico e rapidità di impressione. Da allora con l'informatica gli strumenti di scrittura hanno profondamente mutato aspetto e potenzialità. Al foglio di carta, rigido confine della scrittura, si è sostituito il supporto elettronico, flessibile strumento al servizio dell'utente. |
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